A cura di Bruno Susio, SISTEMA SUSIO (www.sistemasusio.it)
Con la Delibera n. 1064 del 13 novembre 2019 l’ANAC ha approvato il Piano Nazionale Anticorruzione 2019, frutto di una lunga fase di confronto e consultazione. Attraverso tale documento, l’ANAC consolida in un unico atto di indirizzo tutte le indicazioni date fino ad oggi, integrandole con orientamenti maturati nel corso del tempo (in primis PNA e relativi aggiornamenti dal 2013 in poi), con l’obiettivo di fornire uno strumento di lavoro organico per chi è chiamato a sviluppare ed attuare le misure di prevenzione della corruzione, semplificando il quadro regolatorio, e agevolare il lavoro delle amministrazioni e il coordinamento dell’Autorità stessa. Il fine ultimo – da intendersi come obiettivo di medio termine- è che le indicazioni del PNA non comportino l’introduzione di ulteriori adempimenti e controlli formali, con conseguente aggravio burocratico.
Sulla scia di quanto già indicato dal 2013, si conferma l’importanza che il PTPCT sia contestualizzato (rispetto alla tipologia di ente, alle dimensioni, al contesto territoriale, sociale, economico, culturale e organizzativo) ad ogni amministrazione –il PTPCT non può quindi essere oggetto di standardizzazione. Viene altresì ribadito come il PTPCT non sia da considerare un documento “direzionale”, ma anzi il coinvolgimento di tutto il personale è decisivo per la qualità del PTPCT e delle relative misure e per la sua efficacia.
L’ANAC ribadisce la centralità della formazione in materia di etica, integrità ed altre tematiche inerenti al rischio corruttivo e auspica un cambiamento radicale nella sua programmazione e attuazione, affinché sia sempre più orientata all’esame di casi concreti calati nel contesto delle diverse amministrazioni e favorisca la crescita di competenze tecniche e comportamentali dei dipendenti pubblici in materia di prevenzione della corruzione.
Pur riconoscendo i numerosi spunti di interesse in tema di rotazione (oggetto dell’Allegato 2 – La rotazione “ordinaria” del personale”), l’elemento forse più impattante del Piano è l’Allegato 1 – “Indicazioni metodologiche per la gestione dei rischi corruttivi”, in cui l’Autorità ha ritenuto di aggiornare le indicazioni metodologiche per la gestione del rischio corruttivo con un documento che, facendo riferimento ai principali standard internazionali di risk management, sostituisce l’allegato 5 del PNA 2013.
Gli aspetti di novità che caratterizzano il sistema di gestione del rischio proposto possono essere riassunti in:
- in tema di analisi del contesto, indicazione che l’acquisizione dei dati rilevanti non deve essere fine a se stessa ma deve portare ad un’interpretazione degli stessi ai fini della rilevazione del rischio corruttivo (comprendere quali sono le aree di rischio da esaminare prioritariamente, identificare nuovi eventi rischiosi, elaborare misure di prevenzione specifiche, ecc.). In altri termini l’analisi del contesto non è una presentazione del territorio ma deve essere focalizzata sulle potenziali pressioni e criticità del contesto, esterno e interno. L’ANAC auspica che nel PTPCT venga fornita evidenza specifica di come l’analisi di contesto esterno abbia portato elementi utili alla successiva gestione del rischio;
- Rispetto alla mappatura dei processi, ribadito come sia un “requisito indispensabile per la formulazione di adeguate misure di prevenzione e incida sulla qualità complessiva della gestione del rischio” e come la gradualità sia accettata in relazione alla mole di lavoro connessa, l’ANAC chiarisce come l’identificazione dei processi sia solo la prima fase della mappatura, seguita dalla descrizione (individuazione della fasi del processo) e della rappresentazione (da attuarsi in forma tabellare o tramite diagramma);
- Rispetto alla valutazione del rischio, l’ANAC specifica che “l’allegato 5 del PNA 2013 non va più considerato un riferimento metodologico da seguire” (ma concedendo una certa gradualità per il cambio dell’approccio, in quanto si stabilisce che “laddove le amministrazioni abbiano già predisposto il PTPCT utilizzando l’Allegato 5 al PNA 2013, il nuovo approccio valutativo di tipo qualitativo può essere applicato in modo graduale in ogni caso non oltre l’adozione del PTPCT 2021-2023”, suggerendo di adottare un approccio di tipo qualitativo, dando ampio spazio alla motivazione della valutazione e garantendo la massima trasparenza. Si tratta senza dubbio di una interessante evoluzione verso una maggiore contestualizzazione -talvolta svilita dall’adozione ortodossa delle check-list dell’allegato 5 citato- che però deve essere supportata dalla definizione preliminare di un set di indicatori di stima del livello di rischio. Sostanzialmente, partendo da alcuni esempi di item proposti dall’ANAC stessa (livello di interesse “esterno, grado di discrezionalità del decisore interno alla PA, manifestazione di eventi corruttivi in passato nel processo/attività esaminata, grado di attuazione delle misure di trattamento, ecc.), che devono essere contestualizzati e ampliati, ogni organizzazione dovrà crearsi e condividere al proprio interno un set di item attraverso le quali misurare il livello di esposizione al rischio e formulare di un giudizio sintetico (l’indice di rischio del processo), fornendo a supporto dati, evidenze e motivazione della misurazione applicata;
- In ambito di trattamento del rischio si chiede alle amministrazioni di non “limitarsi a proporre delle misure astratte o generali, ma progettare l’attuazione di misure specifiche e puntuali e prevedere scadenze ragionevoli” coerenti con priorità rilevate e con le risorse disponibili; l’assenza di misure specifiche -quelle che agiscono in maniera puntuale su specifici rischi individuati in fase di valutazione del rischio- rappresenta da sempre un punto di debolezza di molti Piani, a tal fine l’ANAC ricorda che “un PTPCT privo di misure adeguatamente programmate (con chiarezza, articolazione di responsabilità, articolazione temporale, verificabilità effettiva attuazione, verificabilità efficacia), risulterebbe mancante del contenuto essenziale previsto dalla legge”;
- Per ultimo, è interessante lo spazio dato alla fase del monitoraggio (sia dell’attuazione che dell’idoneità/efficacia delle misure di trattamento del rischio); le indicazioni in tal senso sono inerenti all’opportunità ricorrere all’autovalutazione da parte dei referenti (se previsti) o dai responsabili degli uffici soltanto nelle aree in cui il rischio di corruzione è più basso, mentre nelle aree a più alto rischio, questa modalità deve essere utilizzata in combinazione con l’azione di monitoraggio svolta dal RPCT o da organi indipendenti rispetto all’attività da verificare. Le risultanze del monitoraggio sulle misure di prevenzione della corruzione, viene ribadito, costituiscono il presupposto della definizione del successivo PTPCT.
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