Prima analisi sul PIAO, il Piano Integrato di Attività ed Organizzazione.

di Francesco Pellecchia (Funzionario Pubblico, Docente, Esperto in Pianificazione e Programmazione, Promotore di Modelli Organizzativi Resilienti, Agili e Disruptive)

 

Much ado about 1, sicu­ramente a tutti evoca una nota piece teatrale, ma ad altri – me compreso – è la prima cosa che viene in mente dopo la lettura del­le bozze che stanno accompagnando l’iter di produzione di provvedimenti e linee guida che iniziano a dare for­ma alle indicazioni generali contenute nell’art. 6 del D.L. 80/2021.

Andiamo per gradi e proviamo a ricostruire fatti e disposizioni che hanno accompagnato la genesi e l’e­voluzione della disciplina sul PIAO.

Durante la primavera hanno ini­ziato a girare le prime bozze del Decreto Legge sul rafforzamento delle capacità amministrative del­le PP.AA., un decreto finalizzato a creare condizioni abilitanti per la snella gestione dei programmi del PNRR – il Piano Nazionale di Ri­presa e Resilienza – e per sostenere il settore della giustizia attraverso il reclutamento di nuovo personale, di “capitale umane”, come definito dal Ministro della Pubblica Ammi­nistrazione nelle Linee Program­matiche per la P.A.2.

Molto rumore per nulla, titolo di una famosa opera del celebre drammaturgo anglosassone William Shakespeare.

www.funzionepubblica.gov.it concetto, quello del capitale uma- no, non proprio di primo pelo essendo stato intro- dotto nel Settecento dall’economista Adam Smith, ripreso più volte nel corso dei secoli, per poi arrivare a piena maturità di significato nell’ambito delle metafore economiche di Theodore Schultz.

Dalle bozze di cui innanzi, il 6 giugno veniva promulgato il D.L. n. 80/2021 e in piena estate, il 6 agosto, lo stesso provvedimento era convertito, con modificazioni, con L. 113/2021.

Di questa norma un articolo, in particolare, ha la velleità di ridisegnare il processo pianificatorio delle PP.AA.; si tratta dell’art. 6 del citato decreto, rubricato appunto Piano integrato di attività ed organizzazione.

La norma in parola prevede che le Pubbliche Amministrazioni, quelle di medio-gradi dimensioni, con più di 50 dipendenti, ad esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, entro uno specifico termine, il 31 gennaio 3, devono adottare il Piano integrato di attività ed organizzazione per assicurare la qualità e la trasparenza dell’attività amministrativa, per migliorare la qualità dei servizi resi a cittadini ed imprese – anche attraverso la costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi – e per garantire il diritto di accesso – nelle forme ulteriori rispetto a quelle classiche di cui alla L. 241.1990 e proprie del FOIA, il Freedom of Information Act, di cui al D.Lgs. 97.2016.

Ante conversione questo termine era fissato al 31 dicembre, mentre – salvo ulteriori modi­fiche – alla luce del prossimo Decreto ministe­riale, in sede di prima applicazione il termine “è differito di 120 giorni successivi a quello di approvazione del bilancio di previsione”. L’ap­plicazione di questa previsione, in particolare, nell’ambito delle autonomia locali – comparto dove solitamente i termini di adozione del bilan­cio vengono spostati di mesi in avanti rispetto alla fisiologica scadenza del 31 dicembre – avrà come effetto diffuso che nel primo esercizio di applicazione del PIAO, il 2022, si osserveranno poco più che iniziali esercitazioni procedurali, quanto piuttosto concrete revisioni dei processi pianificatori (il che, in teoria, non è neanche as­solutamente negativo in quanto darà tempo agli Enti di assestarsi nell’ambito di un quadro rego­latorio mutato). Sul punto del termine di adozio­ne del PIAO significativo è anche il parere reso dalla Conferenza delle Regioni in occasione della Conferenza Unificata del 2 u.s. L’assise regionale evidenzia come la deadline per l’adozione del PIAO, normalmente fissata dal legislatore al 31 gennaio, non sia coerente con i tempi del piano di riparto nazionale delle disponibilità finanziaria al settore sanitario, considerando che detta procedura “tendenzialmente è successiva al 31 gennaio”.

Detta integrazio­ne pianificatoria dovrà essere realiz­zata armonizzando queste rinnovate finalità nell’ambito del vigente appa­rato normativo di settore e, soprattut­to, di due disposizioni in particolare, il D.Lgs. 150/2009 e la L. 190/2021.

Un comma pregno di finalità che poggia l’evoluzione normativa su una solida base, quella formata dal decreto sul ciclo delle performance e dalla legge sul contrasto alla cor­ruzione, ma che – senza andare trop­po in dietro nel tempo, senza risalire all’archeologia normativa – impli­citamente richiama una precedente riforma della P.A., la L. 124/2015, che sulla semplificazione e, in particolare, sulla trasformazione digitale fondava la revisione del settore pubblico, al punto di introdurre un nuovo principio guida che le pubbliche amministrazione erano e sono chiamate ad attuare, quello del digital first, dell’innanzitutto digitale, ancora oggi difficilmente concretizzato 4.

Ed omettiamo qualunque riferimento al principio del once only – del solo una volta, una tantum – secondo il quale non si possono chiedere con ridondanza gli stessi dati a cittadini e imprese. Una volta fornito un dato, o una volta che un dato viene trattato/prodotto da una P.A., questo deve essere integrato nell’ambito dell’ecosistema informativo della Pubblica Amministrazione e, quindi, deve produrre gli effetti collegati. Auspicabile sarebbe stato che il connubio tra questi due principi – magari gestiti attraverso l’infrastruttura e gli applicativi di cui all’art. 8 ter del D.L. 145.2018, blockchain e smart contract – fosse alla base della “reingegnerizzazione dei processi anche in materia di diritto di accesso”. Così non è stato, ma non ci sono limiti espliciti od ostacoli insormontabili che impediscano agli Enti di avere un approccio ed una visione maggiormente disruptive.

Al secondo comma dell’art. 6 è dato il compito di tessere il fil rouge che deve legare tra di loro molteplici livelli di programmazione. In questo passaggio si descrive come il nuovo Piano abbia un orizzonte temporale di riferimento triennale, un sistema rolling di aggiornamento annuale e una puntuale finalità di raccordo di una pluralità di piani che prima, molto spesso, vivevano come monadi – scollegati gli uni dagli altri – che con grande difficoltà riuscivano ad integrarsi.
Il PIAO, da quello che la norma descrive, sembrerebbe essere il collettore naturale almeno di:

  • Piano delle Performance,
  • Piano di gestione del capitale umano e di promozione delle pari opportunità;
  • Piano organizzativo del lavoro agile;
  • Piano della formazione, compresa quella accademica, finalizzato anche a permettere di diffondere le
    tecniche di project management, particolarmente utili per porre in essere i programmi del  PNRR5 , a gestire la transizione  digitale6, nonchè a tracciare i percorsi upskilling e reskilling di cui alle già citate Linee Programmatiche;
  • Piano triennale del fabbisogno del personale, integrato con i piani di carriera del personale in servizio e beneficiario dei percorsi di empowerment di cui alla precedente alinea;
  • Piani della promozione dell’etica pubblica e dell’accountability, meglio conosciuti come Piani di prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Anche alla luce della Circolare MEF 21.20121 che nelle istruzioni allegate ricorda come il Next Generation EU e, quindi, anche il PNRR italiano non debba più essere considerato un programma di spesa, ma bensì un modello performance based incentrato su un sistema M&T, milestone e target, fasi e risultati, nel quale oggetto di monitoraggio saranno gli obiettivi traguardati e gli impatti generati (quindi fondamentale sarà la definizione dei KPI, degli indicatori, attraverso i quali procedere a monitoraggi e misurazioni).

Rispetto alla quale le Amministrazioni sono chiamate a ricordare le disposizioni di cui all’art. 41 del D.L. 77.2021, come convertito con L. 108.2021, articolo che novellando il CAD – Codice dell’Amministrazione Digitale, D.Lgs. 82.2005 – introduce nel Codice il nuovo art. 18 bis inerente il sistema di controllo e sanzioni in caso di violazione degli obblighi di transizione digitale, anche definiti nell’ambito degli obiettivi del PNRR.

La lettura della norma evoca – anche in assenza di un puntuale richiamo nel testo normativo – che il nuovo Piano, battezzato dal legislatore come “integrato”, ha l’arduo compito di riassorbire qualunque ulteriore base pianificatoria bisognosa di integrazione, quindi, anche il Piano delle opere pubbliche, degli acquisti, delle razionalizzazioni, delle alienazioni, degli spostamenti casa-lavoro, …, nonché ha la funzione di definire i link, i collegamenti, con le Agende digi­tali, i cataloghi dei processi da sem­plificare e reingegnerizzare, anche al fine di permettere la piena acces­sibilità ai servizi delle PP.AA., una accessibilità che non può realizzar­si in violazione dell’applicazione del principio guida – di derivazione europea – del  once-only7.

Chiunque si intenda di pianificazione è ben conscio che il processo pianificatorio sarebbe monco (se non addirittura inutile) qualora mancassero il monitoraggio, il controllo, l’attuazione – durante la gestione – degli interventi correttivi, la misurazione finale e la valutazione di politiche pubbliche ed obiettivi, compiuta anche attraverso delle soluzioni partecipative che coinvolgano gli  stakeholders8. Di questo aspetto è ben consapevole il legislatore che prevede – in specifici contesti, laddove vi siano Enti Locali con una classe demografica inferiore a 15.000 abitanti, anche con la finalità di introdurre elementi di semplificazione – la possibilità di creare una unità specializzata, nell’ambito degli uffici associati presenti in ambito provinciale o metropolitano, che si occupi dei monitoraggi riconducibili al nuovo Piano integrato.

https://toop.eu/once-only Rispetto a quanto riportato nella nota 4 il richiamo al TOOP – The Once Only Principle Project – serve a ricordare che il perimetro dell’ecosistema informativo non è solo nazionale, ma europeo, con un sistema che ha la vocazione di essere scalabile, ovvero, integrato nell’ambito della più ampia – come la chiamerebbe il Prof. Luciano Floridi – inforsfera.

Non consumatori passivi di servizi, ma soggetti pro-attivi che devono essere ingaggiati ex ante, informati dei propri diritti e degli stru-menti che possono utilizzare per farli valere, come la c.d. class action all’italiana, ovvero, quella specifica azione collettiva di cui al D.Lgs. 198.2009 che si può attivare quando la P.A. viola gli standard qualitativi definiti (ovviamente prima servirebbe declarare gli standard nell’ambito delle carte dei servizi).

La disposizione, quindi, sembra ribadire9 la necessità che l’orizzonte programmatorio di ogni Ente non sia affastellato da una moltitudine di documenti, a volte, incoerenti gli uni con gli altri e – implicitamente – rimarca l’esigenza che l’orizzonte gestionale definisca una governance multilivello capace di poter gestire la complessità delineata.

La norma in parola – anche implicitamente – sembra trasmettere tanto, ma quello che anche ad un occhio sonnecchioso non può sfuggire è la mancata integrazione con la programmazione economico-finanziaria. Il legislatore sembra essersi dimenticato del processo riformista iniziato nel 2009 con le Leggi delega 15 e 42, quindi, con il collegato D.Lgs. 150/2009 da un lato e la L. 196/2009 e il D.Lgs. 118/2011 dall’altro. Norme, quelle citate, che già definivano l’indispensabile sinergia tra obiettivi e finanza pubblica, tra Piano delle Performance e bilancio, come efficacemente rimarcato dall’art. 169, c. 3 bis del TUEL per quanto riguarda le amministrazioni territoriali.

Ribadisce – e non dispone ex novo – in quan¬to in realtà già erano diverse le norme che impo¬nevano l’integrazione programmatoria. Tra tutte ricordiamo il Testo Unico degli Enti, il D.Lgs. 267.2000, che all’art. 170 disciplina l’adozione del DUP, il Documento Unico di Programmazione.

Il richia­mo è forse assente in quanto è con­siderato implicito visto che ulteriori – rispetto a quelle precedentemente citate – sono le norme che hanno ri­chiamato detta integrazione, dal D.L. 90/2014, al DPR 105/2016 per arri­vare al D. Lgs. 74/2017?

Lasciando per un momento in so­speso la risposta al quesito, possia­mo affermare che il contesto nor­mativo di riferimento, per sommi capi, è quello innanzi evidenziato, mentre il contesto mediatico che lo accompagna è caratterizzato da ro­boanti proclami che indicano come nell’epoca del PNRR le Pubbliche Amministrazioni evolveranno an­che grazie ai nuovi Piani integrati, Piani che devono essere adottati dagli Enti – tutti gli Enti, come di­chiarato dalla stesso Ministro della P.A. durante la conferenza stam­pa di presentazione del progetto  P.I.C.C.O.L.I.10 – entro un orizzon­te temporale ancora  incerto11.

Le incertezze che attanagliano le PP.AA. sono diverse e molte sono le amministrazioni, soprattutto quel­le territoriali, a chiedersi che fine faranno le precedenti forme di pro­grammazione, fra tutte il DUP – Do­cumento Unico di programmazione – un documento che come lo stesso nome suggerisce ha la finalità di es­sere il collettore unico di tutto l’iter programmatorio degli  Enti Locali12.

10 Renato Brunetta – Ora in diretta la confe­renza stampa per la presentazione del Progetto “P.I.C.C.O.L.I.” con il Presidente #Anci Anto­nio Decaro | Facebook

L’incertezza temporale è dovuta al ritardo che si sta accumulando nell’adozione dei decreti di cui al c. 5, dell’art. 6, del D.L. 80/2021, e che inevitabilmente potrebbe avere impatti critici almeno sulla predisposizione del primo PIAO.

Non chiuso nell’ambito della dimensione di singola enclave amministrativa, ma ispirato ai livelli programmatori sovraordinati e orientati a governare le policies di tutto il gruppo di ammi­nistrazione pubblica, quindi, l’Ente e l’insieme – a volte la galassia – delle sue partecipate.

Finalmente, sul finire dell’esercizio 2021 – quasi in extremis – si materializzano prime bozze di quei provvedimenti – Decreto Ministeriale, Linee Guida ed annesso template – che costituiranno la guida operativa attraverso la quale gli Enti dovranno attuare la pianificazione integrata di attività ed organizzazione.

Il primo effetto della lettura delle bozze è stato un bagno di realtà, un abbassamento delle aspettative di tutti coloro – me compreso – che auspicavano che la riforma del modello di pianificazione nelle PP.AA. potesse concretamente ser­vire a snellire l’onere burocratico che ricade sugli Enti e che, quin­di, permettesse ad amministratori e tecnici di concentrarsi maggior­mente sulle attività core, quelle ge­neratrici di valore pubblico.

Dopo lo scoramento iniziale, il ba­gliore di speranza si è legato pro­prio al concetto di valore pubblico che permea i testi dei provvedi­menti e costituisce la stella pola­re verso il quale gli Enti devono orientare il proprio agire.

A spiegarci cosa si intenda con il concetto di valore pubblico sono le Linee Guida sul Piano delle Piano delle Performance13. Il documento, sin­teticamente, lo descrive come una misura d’impatto tesa a “miglio­rare il livello di benessere sociale ed economico degli utenti e degli stakeholder”. Assodato questo, il valore pubblico deve essere defi­nito in modo partecipativo con i portori d’interesse14. Non esiste un assioma universalmente valido, il valore pubblico cambia a seconda della mission istituzionale da perse­guire, a seconda della comunità di riferimento, a seconda dei livelli di maturità amministrativa raggiunti e della consapevolezza di co-power15 espressa dagli amministrati.

 

Linee guida il piano della performance

Deidda Gagliardo E. (2015), Il valore pubblico. La nuova frontiera delle performance, Roma, Rirea.

Minervini G. (2016), La politica generativa. Pratiche di comunità nel laboratorio Puglia, Carocci Editore.

Il DM sul PIAO, dopo la premes­sa, che il Piano debba avere un contenuto sintetico e descrittivo e che, ove necessario, possa essere dotato di milestone – obiettivi in termedi – utili al raggiungimento delle policies dell’Ente, prevede che una specifica Sottosezione del documento sia riservata alla descrizione del valore pubblico e, cosa di non poco conto, che anche a questo livello bisogna operare l’integrazione con la programmazione economico-finanziaria.

Il Valore Pubblico di cui al PIAO è legato:

  • ai risultati attesi di cui all’art.5, c. 01, lett. a) e b) del D.Lgs. 150.2009, ovvero, ad obiettivi generali e specifici che non posso che essere definiti in coerenza con i documenti di programmazione finanziaria adottati da ciascuna amministrazione;
  • alle forme di accessibilità garantite da ciascuna amministrazione, una accessibilità che deve essere piena – sia dal punto di vista fisico che digitale – ad iniziare da un target preciso di utenti, i cittadini ultrasessantacinquenni e affetti da disabilità (il che richiede una preventiva analisi sulle diverse forme di disabilità e sulle modalità di strutturazione dell’accesso16) ;
  • alle procedure tese alla semplificazione ed alla reingegnerizzazione poste in essere nel rispetto delle priorità definite a livello Paese attraverso le Agende della Semplificazione17 e della Digitalizzazione18;
  • a puntuali obiettivi di valore pubblico generati proprio come effetto dell’azione amministrati- va, legati all’incremento del benessere economico, sociale, educativo, assistenziale, ambientale, a favore di cittadini e imprese.

Scopo della Sottosezione, come esplicitato dalle Linee Guida di ri­ferimento, è quello di descrivere le strategie per la creazione di valore pubblico e gli annessi indicatori d’impatto, il tutto – come già evi­denziato – agendo in coerenza con i documenti di programmazione economico-finanziaria.

Quest’ultimo inciso suggerirebbe come la programmazione econo­mico-finanziario guidi la produ­zione del PIAO, ma non sia nello stesso nativamente integrata; il che spiegherebbe come in sede di conversione del D.L. 80/2021, ad opera della L. 113 il termine di ap­provazione del Piano sia stato po­sticipato di un mese rispetto a quel­lo della fisiologica approvazione dei bilanci, normalmente fissato al 31 dicembre.

A rafforzare la tesi secondo cui il PIAO non diventerà l’unico docu­mento di programmazione è anche quanto previsto all’attuale art. 3, c. 2 del DM dedicato, il quale let­teralmente recita che “per gli enti locali la sottosezione a) sul valore pubblico fa riferimento alle pre­visioni generali contenute nella Sezione strategica del documento unico di programmazione”.

Una precisazione, comunque, ap­pare doverosa. Ad oggi, anche se si stanno macinando ritardi sempre più impattanti, risulta ancora priva di applicazione la previsione di cui all’art. 6, c. 5, del D.L. 80/2021, ai sensi della quale sarà compito di successivi DPR individuare e abrogare gli adempimenti relativi ai piani assorbiti dal PIAO.

In chiave digitale preme ricordare l’applicazione della L. 4/2004 rispetto alla quale AgID attiva i meccanismi di controllo e verifica

Semplificazione

Digitalizzazione.

Per come elaborato il DM – anche se ancora in bozza – non sembra lasciare molto spazio alla possi­bilità di vedere ridimensionato l’iter di programmazione econo­mico-finanziaria. L’effetto che ne discende è quello che il PIAO possa essere individuato come un ulteriore documento di sintesi, una mappa strategica che indirizza l’operato dell’Ente e del “capitale umano” che nello stesso opera, uno strumento di comunicazione per i portatori d’interesse che possono ritrovare nel format – template del Piano-tipo – i principali obiettivi che l’Amministrazione si impegna a traguardare nel periodo tempora­le di riferimento.

Gli obiettivi del Piano, invece, avranno una loro Sottosezione de­nominata Performance e dovranno riguardare almeno – quindi, non solo – aspetti legati alla semplifica­zione, alla transizione digitale, alla piena accessibilità, alle pari oppor­tunità ed all’equilibrio di genere19, nonché il sistema di KPI – princi­palmente di efficienza ed efficacia – utili a misurare il raggiungimento dei target definiti20.

La Sezione di PIAO che ha come sottosezioni Valore Pubblico e Performance, come è naturale che sia, si completa con l’ultima sottosezione legata ai Rischi corruttivi ed alla Trasparenza. Questa, come si legge nella bozza di DM, è predisposta dal RPCT – il Responsabile individuato dalla L. 190/2012 – e contiene:

  • la valutazione d’impatto, esterno ed interno;
  • la mappatura dei processi (fondamentale anche rispetto alla definizione dei contenuti della Sezione Organizzazione e Capitale Umano);
  • le procedure di risk management utili per identificare e valutare i rischi specifici e per definire le misure organizzative di monitoraggio e mitigazione degli stessi;
  • il programma della trasparenza, comprensivo delle diverse forme di accesso.

Le LG annunciano come sul punto si debbano attendere, comunque, indicazioni da parte dell’ANAC; indicazioni che potranno permettere – nel caso – al RPCT di elaborare la sottosezione di riferimento ispirandosi ai “canoni di semplificazione calibrati in base alla tipologia di amministrazione”.

La Sezione successiva si articola in tre Sottosezioni:

  • Struttura organizzativa, con indicazione di organigramma, livelli di responsabilità organizzativa ed annessa graduazione in fasce, ampiezza media di U.O. rispetto al volume di capitale umano in servizio ed eventuali ulteriori dettagli ritenuti significativi per meglio rappresentare l’Ente rispetto alle strategie precedentemente indicate;
  • Organizzazione del lavoro agile: quanto trattato nella sottosezione dovrà essere coerente con le prossime LG in materia di lavoro da remoto, nonché con i contenuti del prossimo CCNL, nonché con gli esiti delle opportune forme di interlocuzione sindacale che ogni Ente dovrà attivare;
  • Piano triennale dei fabbisogni del personale, suddiviso in consistenza al 31.12 dell’anno precedente, programmazione strategica di reclutamento ed allocazione del capitale umano, strategia di copertura del fabbisogno e, la già citata, formazione utile a perseguire quanto precedentemente trattato in sede di analisi dell’art. 6 del D.L. 80/2021

Questi ultimi passaggi sembrano suggerire come un piano che potrebbe essere assorbito è quello delle azioni positive, ma anche in questo caso sarà necessario attendere i DPR per avere certezza del vaticinio avanzato.

Il modello descritto, quindi, evidenzia come l’impianto del ciclo delle performance non venga mandato in pensione, anzi sia opportunamente preservato.

Ultima sezione di riferimento è quella legata al monitoraggio. Prime indicazioni vengono fornite dal DM – e ripetute quasi pedissequamente dalle L.G. – ma il quadro potrà essere maggiormente dettagliato quando anche l’Authority Anticorruzione si sarà espressa. Probabilmente troverà applicazione l’art. 7 del D.Lgs. 150/2009 ai sensi del quale le Amministrazioni procedono annualmente alla manutenzione del Sistema di Misurazione e Valutazione delle Performance, un aggiornamento che contemplando le nuove procedure di monitoraggio farebbe bene anche ad incorporare il sistema di audit, le procedure di controllo interno di cui alla disciplina di riferimento21.

Se volessimo trovare nella norma impattanti procedure di semplificazione la ricerca apparrebbe ardua. A parte qualche piccolo “sconto” operato a mezzo dell’art. 6 del DM sul PIAO alle amministrazioni con meno di 50 dipendenti22, il successivo art. 8 ci ricorda come i “documenti di programmazione finanziaria … costituiscono il necessario presupposto” per l’elaborazione del Piano integrato.

Il DM rammenta il regime sanziona­torio introdotto dal D.L. 80/2021 in caso di mancata adozione del PIAO, sul quale è chiamato a vigilare an­che il Dipartimento della Funzione Pubblica, al quale il Piano approvato deve essere trasmesso. Infine, l’ob­bligo di pubblicazione sui singoli portali degli Enti, forma di traspa­renza basica da garantire, potrebbe attivare un meccanismo di civic ha­cking quale pungolo benevolo utile a spronare gli Enti per passare dal PIAO adempimentale al Piano ge­neratore di valore pubblico e valori condivisi. Quest’ultimo passaggio scarica – ancora una volta – sui sin­goli Enti e sulla società civile quello che gli organi deputati – ancora – non sembra siano riusciti a fare.

Dopo tanto clamore mediatico at­torno al provvedimento di legge ci si sarebbe aspettati un ruggito nor­mativo che razionalizzasse i pro­cessi, riducesse l’onere burocrati­co, semplificasse gli iter operativi, valorizzasse la componente core, sostanziale, valoriale dell’agire pubblico, invece, con il DM in pa­rola è arrivato un timido miagolio, un MIAO che – per il momento – ha vanificato le aspettative.

Sul sito www.anutel.it tutta la normativa di riferimento nell’apposita sezione “PIAO”.

D.Lgs. 286/1999 e art. 147 e seguenti del D. Lgs. 267/2000.

Lo sconto è apparente, in quanto dire che le Amministrazioni con meno di 50 dipendenti devono adottare il PIAO, ad es., senza escludere la Sottosezione Organizzazione del lavoro agile, vuol dire che le stesse, comunque, devono operare per garantire rispetto il perseguimento del Valore Pubblico almeno nella parte legata all’accessibilità digitale, ma anche relativamente alla reingegnerizzazione, nonché alla triade base di obiettivi di cui alla Sottosezione delle Performance, senza dimenticare i processi di mappatura contemplati nella Sottosezione Rischi corruttivi e Trasparenza non considerati – solo formalmente – in quella legata allo smart working.

“Verso la compilazione del nuovo Piano Integrato PIAO”

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Mercoledì 2 febbraio 2022

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