Il punto di vista dell’ing. Giuseppe Bottasini – esperto di organizzazione e di transizione digitale Sistema Susio
Tratto dall’Incontro su “La revisione dei processi come presupposto necessario per la Transizione Digitale efficace” – DigitalDrivers – 27/1/2021
La strategia della digitalizzazione nelle PA
Semplificando un po’, la transizione digitale attualmente in corso nelle PA è una barca sospinta da tre vele: (1) la norma (2) l’innovazione tecnologica (3) lo smart working.
- Le norme sulla digitalizzazione non mancano di certo: al Codice di Amministrazione Digitale, che quest’anno compie sedici anni, si è affiancata nel tempo la “macchina da guerra” AgID, col Piano Triennale per la Digitalizzazione, un bel numero di linee guida, alcuni strumenti dedicati a temi specifici come la sicurezza informatica e le grandi banche dati nazionali. Una “macchina” molto tecnica, un po’ sbilanciata verso lo sviluppo software anziché sulla selezione delle soluzioni di mercato, talvolta di non facile comprensione, soprattutto per gli enti più piccoli in cui non ci sono vere competenze digitali e che rischiano quindi di fermarsi all’adempimento formale delle scadenze imposte dal Piano Triennale. La debolezza o robustezza dell’informatica interna è sicuramente un fattore discriminante nella corsa verso la digitalizzazione.
- L’innovazione tecnologica sta rapidamente spostando i servizi della PA sempre più su internet e sullo smartphone ed è incardinata attualmente su quattro punti imprescindibili per ogni iniziativa digitale nelle PA: il cloud, lo SPID, PagoPA e la app IO, quest’ultima finalmente uscita allo scoperto al grande pubblico grazie al cashback. Per le PA l’adozione di queste infrastrutture passa quasi sempre attraverso la mediazione dei fornitori di servizi, non tutti all’altezza di questa sfida. Qui si paga la diversa strategia delle diverse Regioni, solo alcune delle quali accompagnano la transizione digitale degli enti locali offrendo loro applicazioni gratuite in cloud e connettività in fibra. Da questo punto di vista, essere un Comune emiliano o friulano o essere un Comune lombardo fa una certa differenza.
- Lo smart working è passato in meno di un anno dall’essere poco più di una curiosità organizzativa a prassi quotidiana per gran parte dei dipendenti pubblici. Il fattore abilitante lo smart working è certamente la digitalizzazione dei servizi e degli strumenti di lavoro: senza informatica non si fa lavoro agile. Lo smart working ha stressato fortemente l’informatica delle PA, costringendola a mettere in campo in tempi brevissimi tecnologie esistenti ma non usate precedentemente (es. VPN), ad aprire la rete locale a nuovi flussi informativi e a ridurre il controllo sugli strumenti di lavoro col BYOD. Complessivamente, a rischiare di più. Chi ne è uscito meglio sono gli enti che avevano da tempo avviato la migrazione dei server in cloud e in servizi web, abbandonando le vecchie soluzioni client server.
Digitalizzare i Processi e non solo gli strumenti
Arriviamo ora ai processi. I processi di cui parliamo sono quelli che abbiamo già catalogato nel piano anticorruzione, nel registro delle attività di trattamento dei dati personali, nei PEG, nelle attività “smartabili” in pandemia… Non abbiamo perciò bisogno di andare a caccia dei processi, al più si tratta di fare sintesi dei diversi elenchi che abbiamo in casa.
L’informatica è per sua natura trasversale rispetto ai processi svolti nell’organizzazione, perché gestisce funzioni comuni a tutti (es. la posta elettronica, la gestione documentale, le abilitazioni di accesso alle informazioni, la videoconferenza, il cloud stesso) sia perché integra i processi garantendo gli scambi informativi tra contabilità e protocollo, tra anagrafe e pianificazione territoriale ecc.
Non basta investire a tappeto sull’informatica trasversale per diventare digitali? Perché preoccuparci dei “processi” come chiave per la digitalizzazione?
Mettere i processi al centro della digitalizzazione della PA significa cogliere la grande opportunità offerta da norme, innovazione tecnologica e smart working – per migliorare i processi. La norma ci consente di farlo, la tecnologia ci abilita a farlo e lo smart working ci dà un buon motivo per farlo.
La digitalizzazione non può limitarsi a spostare le informazioni dalla carta al silicio – la PEC al posto del fax, il file PDF al posto del modulo stampato, la firma digitale al posto dell’autografo, i rack di dischi al posto degli scaffali – ma può e deve cambiare i processi che usano quegli strumenti, rivedendo in particolare luoghi e tempi di svolgimento dei processi.
Considerazioni finali
Emerge chiaramente, dalle esperienze che stiamo seguendo in questi mesi, che non basta comprare nuovi portatili e qualche saponetta per fare digitalizzazione. In questa fase storica, la PA deve essere capace di (1) metabolizzare le lezioni imparate dalla pandemia (2), studiare le norme che impattano sulle soluzioni tecnologiche (non solo AgID ma anche il “privacy by design” richiesto dal GDPR) e (3) alzare lo sguardo per vedere dove sarà tra tre anni.
Il Responsabile della Transizione Digitale è la figura chiave che alza lo sguardo per vedere che direzione prendere. La norma non aiuta molto, calcando la mano sulle penalità infliggibili al RTD anziché sulle premialità. Forse lavorando sul piano delle performance si può provare a rendere più appetibile questo ruolo strategico.
Il POLA (Piano Organizzativo per il Lavoro Agile) è la prima vera occasione per esplicitare la strategia di digitalizzazione dell’ente. Al netto degli schemi per la sua redazione, un POLA che si limiti a elencare gli acquisti informatici senza ripensare progressivamente tempi e luoghi di lavoro e di relazione coi cittadini potrebbe rivelarsi un’occasione perduta di innovazione, efficientamento e innalzamento della qualità della vita dei dipendenti e dei cittadini.